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Il primo libro d'artista della storia: Zang Tumb Tuuum di F.T. Marinetti

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Paolo Tonini
Il primo libro d'artista della storia: Zang Tumb Tuuum di F.T. Marinetti
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Zang Tumb Tuuum (questo è il titolo corretto, riportato al frontespizio, non Zang Tumb Tumb come appare in copertina) è il primo libro parolibero nella storia della poesia e della tipografia e il primo vero e proprio "libro d'artista", se per libro d'artista intendiamo un'opera che sia sintesi di molteplici istanze espressive, testuali e visuali: con Zang Tumb Tuuuminizia la rivoluzione tipografica di cui il futurismo italiano è precursore nel mondo. Marinetti lo pubblica nella primavera del 1914 a Milano per le sue Edizioni Futuriste di "Poesia", dopo che ne erano apparsi vari frammenti sulla rivista Lacerba (1913), e averne declamato brani ovunque in Europa e in Russia.

Già a una prima occhiata il libro si presenta come un oggetto inquietante: una copertina morbida in cartoncino poroso, di color giallo intenso su cui è impressa la sagoma nera delle parole. Il piatto compone un titolo inaudito, caratteri di varie grandezze, parole disposte secondo diverse direttrici, ed è l'esito di qualcosa che comincia altrove, di cui ci accorgiamo solo svolgendo piatto, dorso e retro. Queste tre parti distinte del libro concorrono alla formazione di un'unica immagine: il razzo che viene lanciato ed esplode al termine della sua parabola. Una sorta di razzo/freccia è anche la firma autografa con cui Marinetti solitamente accompagnava le copie donate ad amici e intellettuali.
F.T. Marinetti, Zang Tumb Tuuum, Milano, Edizioni Futuriste di Poesia, 1914. Copertina

Testo, immagine, colori, materiali, tutto è finalizzato a coinvolgere il lettore non in una semplice lettura ma in una esperienza sensoriale, mettendo in moto più che l'intelletto la fantasia e l'immaginazione. Cosa sono le parole in libertà? Scrive Marinetti:

"Scartando ora tutte le stupide definizioni e tutti i confusi verbalismi dei professori, io vi dichiaro che il lirismo è la facoltà rarissima di inebbriarsi della vita e di inebbriarla di noi stessi. La facoltà di cambiare in vino l'acqua torbida della vita che ci avvolge e ci attraversa. La facoltà di colorare il mondo coi colori specialissimi del nostro io mutevole..."(F.T. Marinetti, Ditruzione della sintassi - Immaginazione senza fili - Parole in libertà, in Zang Tumb Tuuum, Milano, Edizioni Futuriste di Poesia, 1914; pag. 9).
F.T. Marinetti, Zang Tumb Tuuum, Milano, Edizioni Futuriste di Poesia, 1914. Frontespizio

Stéphane Mallarmé, Un coup de dés..., in COSMOPOLIS, n. 17
Londra, Armand Colin, 1897. Pagine interne
E' questo che distingue Zang Tumb Tuum da Un coup de dés... di Stéphane Mallarmé, pubblicato per la prima volta in volume qualche mese dopo, il 10 luglio 1914: Un coup de dès jamais n’abolira le hasard. Poème, a cura del genero Edmond Bonniot (Paris, Editions de la Nouvelle Revue Française). Un libro in grande formato 33x25 cm. la cui sobria copertina, giocata sul rosso e nero del titolo e dei filetti che lo inquadrano, caratteristica delle edizioni Gallimard, non lascia minimamente trasparire il contenuto: parole che si snodano nello spazio bianco della pagina a evocare silenzi assenze illuminazioni, sottratte all'obbligo di voler significare qualcosa. Mallarmé l'aveva concepito nel testo e nella disposizione tipografica nel 1897, pubblicandolo sulla rivista londinese Cosmopolis (n. 17, Londra, Armand Colin, maggio 1897, pp. 419-417):

"Cosmopolis è stato audace e delizioso, ma non ho potuto presentare la cosa che a metà, ed era già un bel rischio. Il poema si stampa in questo momento, quale l’ho concepito; per quanto riguarda l’impaginazione, dove risiede tutto l’effetto. Una certa parola in corpo grande domina da sola tutto il bianco di una pagina e credo di essere certo dell’effetto(Stéphane Mallarmé, Correspondance. Tome IX, 14 maggio1897, Paris, Gallimard, 1983. Trad. it. Marina Giaveri).

Stéphane Mallarmé, Un coup de dés...,Paris, NRF, 1914
L'intento di Mallarmé, anch'esso cruciale e concentrato sull'importanza della costruzione tipografica, è opposto a quello di Marinetti: in Mallarmé il rapporto fra testo e pagina tende a un ordine e a un equilibrio essenziali, giocato sul filo del nulla, una sorta di liberazione dal tedio della vita: il libro, per quanto sia perfido il gioco fra l'essere e il nulla, rimane contenitore di un pensiero. In Marinetti al contrario è coinvolgimento vitale, contaminazione dello spazio intellettuale da parte della realtà con la sua miscela di bene e male, bellezza e orrore, banalità e genio:

"Il libro deve essere l'espressione futurista del nostro pensiero futurista... Combatto in questo l'estetica decorativa e preziosa di Mallarmé e le sue ricerche della parola rara, dell'aggettivo unico, insostituibile, elegante, suggestivo, squisito... Combatto inoltre l'ideale statico di Mallarmé, con questa rivoluzione tipografica che mi permette di imprimere alle parole (già libere, dinamiche e siluranti) tutte le velocità, quelle degli astri, delle nuvole, degli aeroplani, dei treni, delle onde, degli esplosivi, dei globuli della schiuma marina, delle molecole e degli atomi"(F.T. Marinetti, Ditruzione della sintassi - Immaginazione senza fili - Parole in libertà, in Zang Tumb Tuuum, Milano, Edizioni Futuriste di Poesia, 1914; pp. 25-26).
Stéphane Mallarmé, Un coup de dés...,Paris, NRF, 1914. Pagine interne

Parole in libertà e rivoluzione tipografica si impongono dunque insieme: lo scatenamento del linguaggio dalle regole di composizione del testo - grammatica, sintassi, punteggiatura, figure retoriche tradizionali -  libera l'oggetto libro dalla sua funzione di puro e semplice contenitore predisponendolo a divenire vera e propria opera d'arte. Opera d'arte in cui si amalgamano in perfetta armonia le istanze teoriche sul come far versi, le invenzioni tipografiche (ideate da Marinetti ma realizzate materialmente dal tipografo Cesare Cavanna), il flusso di coscienza, la politica, la morale, la tecnologia, la musica e tanto altro ancora.
F.T. Marinetti, Zang Tumb Tuuum, Milano, Edizioni Futuriste di Poesia, 1914. Pagine interne

Il pretesto è un episodio della prima guerra balcanica, l'assedio di Adrianopoli del 1912. Guerra sola igiene del mondo.
Questa cosa della guerra ha sempre scandalizzato. Perfino un artista deviante come Carmelo Bene declamando il Manifesto del Futurismo ometteva i punti riguardanti la guerra "sola igiene del mondo". Non che non ne capisse perfettamente il senso ma come spiegarlo a un pubblico colto, impegnato, progressista e di sinistra fin che si vuole ma che ci vedeva tutto il fascismo possibile? E stiamo parlando degli anni Novanta del Novecento. Critici e studiosi con rare eccezioni hanno sempre preferito tacere a questo proposito.
F.T. Marinetti, Zang Tumb Tuuum, Milano, Edizioni Futuriste di Poesia, 1914. Pagine interne

Apriamo il libro e ogni pagina è una sorpresa: il lettore viene coinvolto suo malgrado in una guerra-festa, un'orgia di segni e suoni che non vogliono significare altro che se stessi. Forse la guerra che Marinetti esalta non è quella che si fa con i cannoni. Forse ha qualcosa a che fare con l'amore, la vitalità, la volontà di superare un limite. Una guerra che non si vede, guerra-trasformazione che tocca a ogni uomo, se un uomo vuole conoscersi prima di andarsene dalla vita.
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F.T. Marinetti, Zang Tumb Tuuum
Milano, Edizioni Futuriste di Poesia, 1914
Tavola fuori testo
Parole che assumono forme, forme che si disintegrano in segni e segnali, abbozzi di geometrie e capricci della fantasia: guerra in cui prende forma visiva un grande senso di libertà, l'emancipazione rispetto alla comunicazione convenzionale e un primo esperimento di abolizione dei limiti che separano l'arte dalla vita.
No che non c'entra la guerra dei cannoni. C'entrano la vita e la morte. E c'entra il libro, il simbolo per eccellenza della sapienza occidentale. E' una guerra che scatena il bisogno di oltrepassare i limiti, di aprire spazi di libertà, di accogliere nuove forme, pensieri inediti, nuovi stili di vita, proprio attraverso quel mezzo, circondato dall'aura sacra del sapere e della tradizione. Tutte cose queste che non cadono dal cielo,  impraticabili se non mettendo in gioco la vita: guerra sola igiene del mondo.

Noi forse apriamo e scorriamo questo libro con eccessiva frivolezza, magari disputando ferocemente sul perché e il percome e il prima e il dopo. Ma se facciamo attenzione troveremo le tracce di un percorso che arriva fino a noi, di idee che da sempre vengono compresse, idee che in certi momenti della storia sembrano esplodere e però poi vengono riassorbite, si trasformano in mode e con le mode passano. Il libro d'artista nasce come istanza di rinnovamento della vita. Se ci fate caso è questo la guerra, la rivoluzione tipografica, la parola in libertà: quel che ritorna nonostante tutto, che ci affascina e chiede di non starcene fuori, di deciderci a partecipare: futurismo arte-vita.

"Con questo volume di parole in libertà che equivale come intensità a 2500 pagine di Flaubert, ho sorpassato tutti e tutto, ho rinnovato integralmente la visione del mondo, sono giunto per primo nei domini inesplorati dell'arte. I pensatori da sanatorio, i critici da diligenza e da portantina e tutti gli impotenti incollati ai buchi delle serrature negheranno queste mie affermazioni. Tanto meglio. La gioia di disprezzarli una volta di più lubrifica il mio genio, che ha la forma di uno stantuffo(F.T. Marinetti, Ditruzione della sintassi - Immaginazione senza fili - Parole in libertà, in Zang Tumb Tuuum, Milano, Edizioni Futuriste di Poesia, 1914; pag. 32).

EROTICA FUTURISTA 29: Astra e il sottomarino

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Benedetta, Astra e il sottomarino. Vita trasognata, Napoli, Casella, 1935
copertina di "N." o "M.""Nicciani", artista non identificato
Nel settembre 1935, recensito su STILE FUTURISTA (Anno II n, 11/12), Benedetta pubblica Astra e il sottomarino, il suo terzo e ultimo romanzo, presso il libraio ed editore Casella di Napoli, dedicandolo al marito:
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Marinetti, ti offro Astra. (...) La trama è semplice eterna. L’Amore fra un uomo e una donna, ma ho cercato di dare il mistero del destino condizionato dalla Realtà e precisato e preveduto dal Sogno. Da tre anni quest'opera è compiuta. Vi è stata, tu lo sai, una parentesi più pesante nei miei giorni ed è nata la nostra Luce: Luce oggi è vittoriosa nel sorriso blu, nei suoi canti, nei biondi giochi al sole con Vittoria ardente e Ala veloce ed oggi Astra può andare nella vita portandovi una irradiazione di poesia. Poesia: tu non credi che in essa per illuminare il mondo, io credo che senza ansia spirituale e senza amore, pur se a volte e forse troppo spesso è dolore, il mondo si disgrega e si sparpaglia nel nulla (pp. V-VI).
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Che donna meravigliosa deve essere stata Benedetta. Scrittrice madre pittrice. Semplice e diretta senza ombra di civetteria. Le fotografie raccontano di quanto fosse bella e del suo sguardo penetrante, di un fascino che ha a che fare con l'oscurità e la morbidezza, una passione capace di divampare ma anche di non distruggere. Certo si piaceva molto.
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Benedetta
L'amore per Marinetti, che aveva vent'anni più di lei, è trasparente da queste righe e da tutte le pagine del romanzo, dove si mescolano vita mondana, tecnologia, sensualità e delirio:

"I nostri baci furono così intensi che si sono creati realtà. Dolcissimi scivolano sulle mie palpebre e si posano sulle labbra. Il tuo gesto affettuoso che mi circonda le spalle è nell'aria un tepore vivo...
Il tuo desiderio che mi vuole è l'onda lirica dei rami delle palme agitati lievemente in una sintesi di carezza...
Gli atomi cedono al mio cuore la vibrazione che il tuo corpo ha loro trasmesso. Il tuo respiro si è sparso in ogni angolo così che lo assorbo come un ossigeno. Irrido il tramonto del sole e la notte che trionfa. Perché noi siamo al di sopra nel cielo del nostro amore
"(pp. 24-25).

Futurismo arte-vita, non distinguere la vita quotidiana dalla poesia, fare della propria vita un'opera d'arte: occorre raccontare comunicare se stessi, i desideri e le paure, non c'è altro da dire (c'è solo da essere c'è solo da vivere, ha scritto poi Piero Manzoni chiudendo per sempre l'epoca dell'arte da contemplare sul muro).

E Benedetta dice con grande sincerità cosa le piace, per cosa delira:

"La mia carne sa tradire ma non attendere. Voglio la voce che sveglia echi nelle valli folte del piacere
del calore per correggere il freddo degli spazi,
del sangue per colorare gli orizzonti
della passione per popolare la vita
"
(pag. 103).

Finendo per chiedere:

"E' possibile riempire d'azzurro l'infinito vuoto che separa i mondi?" (pag. 109).

Il romanzo si chiude sbarrando le quattro finestre della grande casa bianca dei sogni.

Benedetta e F.T. Marinetti con le figlie Ala, Vittoria e Luce
C'è una risposta? Certo, ed è contenuta nellla dedica trascritta all'inizio: il romanzo era terminato prima della nascita della figlia Luce ma rimase nel cassetto per tre anni. Non so le vicende private della famiglia Marinetti, ma Benedetta allude a "una parentesi più pesante nei miei giorni", da cui Luce è uscita "vittoriosa", e ora può giocare e ridere con le sorelle Ala e Vittoria. Così il libro fu finalmente pubblicato.
In quella dedicatoria e nelle finestre chiuse sui sogni c'è forse il senso di un grande amore: la realtà dei baci, dei figli e dell'amicizia. La maternità non è un'attitudine morale né una malintesa dedizione ma un mistero di Eros:

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"L’acqua materna invita Astra, (che vi si tuffa) all’altra riva, la sostiene e la spinge guidata dal timone delle sue gambe, senza ostilità di spessori, né distrazioni di temperatura. Giunta è davanti ad una cancellata altissima, con una piccola porta ugualmente in ferro nero. Dietro, esattamente nel centro vi è un guardiano in divisa celeste.
— Apri, voglio entrare.
— Sai che i battenti raramente cigolano su i loro cardini per avvisare i distratti e sai che colpiscono i ritardatari e gli incerti...
Astra risponde:
— Non conosco oscillazioni e non amo le pause. Non sono un orologio che registra il tempo altrui, ma una velocità appassionata che annulla il tempo...
I battenti si aprono. D’un balzo è dentro. Non possono ormai chiudersi che alle sue spalle.
Dietro, sul prato verde, fra la cancellata, limite traforato invincibile e l’acqua chiara e dolce, circondata da terra densa intensa come la carnalità, è apparso un uomo. Un uomo che Astra conosce e che vuole entrare, ma non sa.
L’atmosfera è sovra umana. Senza spessore di coscienza — desiderio — ricordo — nostalgia — rimpianto. Dilatata da un calore intimo che ne allontana ogni contatto materiale.
Procedendo Astra scopre un giardino dove uomini chini su aiuole fiorite giuocano lavorando"
(pp. 26-28).

VOGLIAMO TUTTO! Arte e poesia negli anni di piombo (1967-1982)

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Copertina del catalogo

Dal 18 al 21 settembre si svolgerà a Bologna la Mostra del Libro Antico e noi presenteremo una collezione che illustra momenti dell'arte, della poesia e della storia sociale degli anni Settanta, raccolta nel catalogo «VOGLIAMO TUTTO! Arte e poesia negli anni di piombo (1967-1982)».
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Parole sui muri, 1968
Ordinando il materiale cronologicamente, quello che doveva essere un semplice catalogo si è trasformato in una storia.
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Questa storia comincia con una invasione, quella che avvenne  dall'8 al 18 agosto 1967 a Fiumalbo, in provincia di Modena: un centinaio di artisti d'avanguardia provenienti dall'Italia e dall'Europa animarono il piccolo paese di performances artistiche, teatrali, musicali, e i muri furono tappezzati di poesie e manifesti suscitando grande scandalo. La storia finisce fra il 19 marzo e il 14 giugno del 1982 con un'altra invasione, quella che contrappose Argentina e Regno Unito nella guerra delle Isole Falkland, a cui si riferisce «Ready for War», un volantino in cui si raccomanda, davanti alla nuova era del conflitto globale, di "non attendersi nulla e non legarsi a nessuna prospettiva", perché il destino dell'umanità è segnato e non ci sarà futuro.

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Ready for War, 1982

Fra le due date c'è la crisi economica seguita al boom dei primi anni Sessanta, il '68 e il '77, l'emancipazione della donna, le radio libere, la musica pop & rock, l'eroina, sullo sfondo di una violenza sempre latente i cui esiti furono gli innumerevoli attentati del terrorismo di destra e di sinistra. E ci sono l'arte e la poesia che vennero fuori dalle scuole e dalle strade, arte che non si poteva più appendere al muro e poesia che non poteva più stare nelle pagine di un libro.
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Nanni Balestrini, Vogliamo Tutto, 1970
E' la storia di mille rivolte introiettate, divenute mode oppure cancellate da un sistema economico oggi investito da una crisi senza precedenti.
"Vogliamo tutto!"è lo slogan che gli operai della Fiat urlavano durante gli scioperi "a gatto selvaggio" del 1969, e un libro di Nanni Balestrini. Quando viene negata la possibilità stessa di cambiare la vita non c'è più spazio per le vertenze, i contratti, gli aumenti: "vogliamo tutto!" nell'arte come nella vita, perché non c'è più niente da perdere, non è più soltanto il pezzo di pane è la possibilità stessa della felicità.

I documenti e le immagini che presentiamo in questo catalogo in ordine cronologico, sono le tracce e le testimonianze di alcuni momenti. Mai come prima in quegli anni fu possibile toccare gli estremi, aprire nuove strade, ingannarsi, testimoniare di tanto orrore e di tanta bellezza: immagini e parole che non commemorano, non accusano né esortano. Vogliono solo essere ricordate e amate.

Vogliamo Tutto, 1977

Tano D'Amico
Durante i quattro giorni della mostra, dal 18 al 21 settembre, Tano D'Amico sarà nel nostro stand per conversare sui libri e le immagini, condividendo idee, impressioni e ricordi con le persone che verrranno.

Tano è nato a Filicudi nel 1942, ha studiato ed è cresciuto a Milano per poi trasferirsi a Roma dove ha cominciato a fotografare. Non per vocazione («io non volevo fare il fotografo, io volevo vivere» ha detto in varie interviste) ma semplicemente perché per i suoi amici di Potere Operaio, di Lotta Continua o altri, lui era quello che doveva fare le fotografie.

E così Tano con le sue foto è stato protagonista e cantastorie di quell'epoca. Quando qualcosa accadeva, una manifestazione, una occupazione di case, uno sciopero, una festa, uno scontro, lui c'era sempre. E cosa andava cercando in quel casino indescrivibile? Quegli anni sono stati analizzati a sufficienza nei libri di storia e nei film documentari; con tutte le loro profonde e opposte ragioni. Ma le tracce rimaste incise in chi quegli anni li ha vissuti, questo difficilmente si conosce. Tracce che si trovano tra le righe di giornali durati un giorno, volantini, manifesti, poesie, immagini, azioni, canzoni, alcuni libri.

Tano D'Amico, E' il '77, 1978
Quando Tano racconta, per esempio, di come era stato fatto il suo  «E' il '77», quello grande con la copertina nera disegnato da Piergiorgio Maoloni, della colletta che servì a pagare le spese, del tipografo da poco fallito che riaprì l'officina e richiamò i lavoranti per qualche notte, e della polizia che ne comprò chi sa quante copie un po' per individuare i facinorosi e un po' per specchiarsi in quelle immagini che non giudicavano, ecco, questo mi permette di immaginare altri spazi e altri orizzonti, zone di umanità ancora da esplorare, domande da porre, percorsi da tentare. Tutte queste cose per la storia non contano. Contano per noi però, arrivano e passano con noi. Sono la nostra bellezza, la nostra vita che vorremmo eterna. Sono un sapore buono e l'amaro, una musica, dei versi, sguardi, dei baci, e chi sa cos'altro che sempre se ne va.

EROTICA FUTURISTA 30: L'aeroporto

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Ignazio Scurto, L'aeroporto, Milano, La Prora, 1939. Copertina di Barbara
Poco si sa di Ignazio Scurto(Verona 1912 - Milano 1954) del gruppo futurista veronese, che nel 1939 pubblica il vangelo degli aviatori, il romanzo che secondo Marinetti annunciava la fine della letteratura da salotto, il tramonto dell'intellettuale in pantofole: L'aeroporto (Milano, La Prora). Più famosa di lui la moglie Olga Biglieri, in arte Barbara, che ne illustra la copertina: si erano conosciuti nel 1935, nel 1939 si erano sposati e sembra evidente che Olga/Barbara sia la vera protagonista di questa storia nel personaggio di Tulliola (allusione a Tullio d'Albisola e ai suoi libri metallici?).

Tulliola è la donna finalmente emancipata: ama volare perché le piace sollevarsi da terra e non certo per scimmiottare l'uomo. Determinata e sicura di sé, appassionata ed esente da civetteria sarebbe stata comunque bellissima. E così il povero Michele, giornalista e poeta incaricato di scrivere sulla vita degli aeroporti fatica un po' a capirla. Le piace, è ovvio, ma si trova a disagio perché perfino il manuale di seduzione marinettiano qui è inutilizzabile. Quando lui si infervora nel descrivere la magia e l'ebbrezza del volo, lei lo distrugge così:

"Ma non avete mai visto giù nelle aviorimesse qualche ragazzone in tuta, sporco d'olio sul volto e sulle mani? No? Date retta, guardatene qualcuno e abituatevi a considerare il volo senza l'eccitamento della storia, perché ogni signora mondana ragiona come voi quando nel proprio salotto dirige il pensiero all'aviazione... Nel momento in cui voi pensate agli eroi siete un letterato, non un dominatore di queste macchine" (pp. 48-49).

Michele capisce che deve essere semplicemente e naturalmente un uomo, che la poesia può venire solo dall'autenticità del vivere, che questa donna non si accontenta di parole e immagini. Lui sa di piacerle, perché Tulliola più o meno consapevolmente percepisce la sua fondamentale onestà e il sincero desiderio di comprendere, di sollevarsi anche lui dalla terra, e non per allontanarsene ma per ritornarci e scendere in profondità.
L'incontro con un pittore e la sua compagna, amici di Michele, la fanno molto riflettere.
Volpiana è anche lei una donna emancipata, sebbene in modo diverso. Non ama viaggiare, impegnarsi in una carriera, eccellere in qualcosa. Vuole occuparsi dei suoi bambini, perché da quando si è vista allo specchio la prima volta ha amato il proprio corpo fatto per dare la vita. Ma i bambini non si possono fare se non si è sposati, specie in una piccola città di provincia. E lei col suo amato pittore per un po' ha fatto la brava ragazza, poi si è stufata e adesso aspetta il suo bambino, si sposeranno quando avranno i soldi necessari. Chi se ne importa delle chiacchiere.


Barbara (Olga Biglieri)
Intanto Michele prende il brevetto di volo e sia a lui che a Tulliola viene offerta una ingente sponsorizzazione per una gara aeronautica. Chi vince piglia tutto. Lei è propensa a lasciar perdere, perché volare è la sua vita, è la realizzazione di valori umani e non un mezzo per fare più soldi. Poi però pensa che a qualcuno quei soldi sarebbero serviti eccome: Volpiana. Dunque parteciperà, e infine vincerà la gara. Però Michele ancora non arriva al traguardo. E allora parte alla sua ricerca: quando lo trova con l'aereo mezzo distrutto, ferito ma salvo se lo abbraccia e bacia piangendo. Non sa che lui non voleva vincere, ma Michele nonha bisogno di dirglielo: sarà pure un intellettuale da salotto ma per lei ha rischiato la vita e non una poesia. E anche qui sembra evidente che Michele sia Ignazio.


Era insomma il romanzo di due giovani diversi, a cui non piaceva troppo il mondo com'era, lei appassionata di pittura e volo a vela fin dagli undici anni, lui poeta squattrinato e giornalista. Ma poco dopo il matrimonio scoppia la guerra e Scurto parte per il fronte, mentre Barbara rimane sola con due bambine piccole (già, probabilmente una era nata prima del matrimonio, come la bimba di Volpiana nel romanzo). Finita la guerra, Scurto ritorna e trova lavoro come giornalistaper La Notte, e sarà fra i frequentatori del bar Giamaica dove stava la bohème milanese. Barbara intanto scrive novelle "rosa" che permettono di arrotondare gli introiti più che non i quadri.

Ignazio Scurto muore nel 1954, e lei anziché abbattersi si darà da fare, affermandosi nel giornalismo della moda e continuando a dipingere, senza con questo dimenticare l'impegno politico contro la guerra, che aveva professato da sempre. Qualcuno ci vede una contraddizione con l'aeropittura: una cosa talmente imbecille per chi non si è dato la pena di capire bene cosa fosse mai una guerra con proprietà igieniche.


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EROTICA FUTURISTA 31: Picchiata nell'amore

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Piero Bellanova, Picchiata nell'amore, Roma, Unione Editoriale d'Italia, 1940
copertina di Alfredo Gauro Ambrosi
Ancora un aeropoema d'amore, ed è il primo romanzo parolibero sintetico così presentato da Marinetti:

"Il tedio propagato in Italia e nel mondo dai più o meno celebri romanzoni pessimisti di origine nordica zavorrati da 700 a 1000 pagine di spidocchiamento psicologico è nauseante mentre il primo romanzo sintetico fiero delle sue 15 pagine e ali si presenta come una autentica delizia" (F.T. Marinetti, pag. 4).

L'autore è Piero Bellanova, medico personale di Marinetti, un futurista calabrese, amico e convivente di Luigi Scrivo che di Marinettti era il fedelissimo segretario. Bellanova era un medico un po' particolare, sbilanciato verso la psicoanalisi con particolare riguardo ai temi relazionali e della personalità creativa: negli anni Cinquanta e Sessanta sarà segretario della Società Psicoanalitica Italiana.
E poi sapeva suonare il piano.
Frontespizio
Tavola fuori testo

Picchiata nell'amore
viene pubblicato il 30 maggio 1940 ed è la realizzazione pratica del Manifesto del romanzo sintetico, redatto da Bellanova insieme a Marinetti e a Luigi Scrivo, e lanciato per la prima volta dalle colonne de IL GIORNALE D'ITALIA di Roma il 24 dicembre 1939. Manifesto che viene riprodotto nel libro, insieme a un collaudo marinettiano e a una nota di Scrivo.


L'impaginazione è una novità assoluta che mette insieme le tre differenti categorie di paroliberismo definite da Marinetti nel 1937 (F.T. Marinetti, La tecnica della nuova poesia, Roma, La Rassegna Nazionale, 1937): tavole parolibere, parole in libertà, parole in libertà di aeropoesia, basate sull'accordo simultaneo.



La copertina è di Alfredo Gauro Ambrosi, con una aereo stilizzato in picchiata e sullo sfondo l'immagine del pilota: simultaneità e compenetrazione di evento e stato d'animo, che poi è la tecnica con cui è costruito il romanzo: Africa Spagna, il Mediterraneo e Roma, La Mostra del Minerale in cui avviene il primo sguardo e a cui segue il primo bacio. 20 anni = Adriana, volare, rapidità assenza di smancerie, amore immediato totale, detto fatto sposati, e per chi faticasse a capire in appendice c'è un tradizionale indice che divide tutto in 28 minicapitoli di cui l'ultimo recita: "28°: Finale d'uso: molti figli e «vissero felici e contenti»".



Dal museo archeoideologico: una lettera di Guido Keller

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Guido Keller, messaggio autografo indirizzato a Gabriele D'Annunzio

Questo messaggio e la lettera che lo accompagna sono il frammento di una storia creduta possibile nonostante tutto: l'edificazione della Città di Vita, la città dei poeti e degli artisti che avrebbe accolto in sé il seme di tutte le rivolte: Fiume d'Italia. La data è il 13 gennaio 1922, un anno dopo il Natale di sangue: 

Gabriele D'Annunzio in divisa di Ardito
Fiume, 1920
Fotografia di Antonio Anselmo
Comandante, per il tramite di Margherita Rossi Passavanti d'Incisa chiedo:

1°: Che contegno debbo tenere di fronte a S.E. Arraga de Vidal.
II. Ti si può vedere e parlare
III. Definire
Guido Keller
Fiesole I - 13 - 22

Il Comandante è Gabriele D'Annunzio, ritiratosi nel Vittoriale di Gardone Riviera, corteggiato da Mussolini e assediato dai tanti legionari, arditi, ribelli di ogni colore che lo avevano seguito a Fiume e ora gli chiedevano di fare la rivoluzione.
Gli scrive Guido Keller, aviatore nudista diletto fra i 12 amici che D'Annunzio volle uniti a lui anche nella tomba, l'utopista eroe cocainomane, nato von Kellerer e italiano. Sempre fuori da ogni regola, trasandato, eterno adolescente:
 

Guido Keller, 1919
Keller era piccolo di statura, con una capigliatura sempre troppo abbondante e arruffatissima, con una barba selvaggia ma con baffi fieramente obbligati all’insù come quelli di un moschettiere. Aveva uno sguardo fra l’accigliato e il tenero; era alieno dagli scatti con i quali ognuno reagisce di fronte ad una enormità, contentandosi di una scrollatina di spalle o di un malinconico oscillare della grossa testa. Nessuno lo sentì mai alzare la voce. Sul più bello di una discussione nella quale stava per persuaderti (caso raro, perché di solito non lo capivi) ti lasciava, senza concludere la sua vittoria. Se mai sorrideva, ed era un sorriso che non dimenticavi più, niente ironia, niente superiorità: il bel sorriso puro di un fanciullo. […] Sempre spiantato e sempre trasandato nel vestire ma con l’indifferenza del gran signore, un giorno ti capitava davanti con un capo di raffinata eleganza: una cravatta, un paio di scarpe indubbiamente provenienti da un ottimo negozio. Ma il giorno dopo la cravatta era lordata da una larga macchia d’olio che lui non si curava di togliere, e le scarpe erano orribilmente scalcagnate. Le aveva adoperate per una gita in montagna dove si era arrampicato di notte per assistere allo splendore dell’alba” (Mario Fucini, in: Igino Mencarelli, Guido Keller, Ufficio storico dell’Aeronautica, 1970).

Keller vuole sapere prima di tutto che contegno tenere con Don Enrique Arraga-Vidal, diplomatico e giornalista uruguaiano, che negli anni Venti cercava di mettere in comunicazione la destra tedesca di Alfred von Tirpitz e quella italiana di Benito Mussolini(vedi Raffael Scheck, Alfred Von Tirpitz and German Right-wing Politics: 1914 - 1930, Atlantic Highlands, Humanities Press International, 1998).

La domanda "Ti si può vedere e parlare" mette poi a nudo la realtà: D'Annunzio tace, non se la sente di mettersi a capo di un movimento politico nonostante le insistenti proposte che provenivano dalla Federazione Nazionale dei Legionari Fiumani, (dal 1923 Unione Spirituale Dannunziana) e da frange dell'arditismo e del fascismo "di sinistra".

Anche il terzo punto, "Definire" va inquadrato in questa prospettiva: Keller è stufo di aspettare.
Guido Keller, lettera autografa accompagnatoria indirizzata a Margherita Incisa di Camerana

Il messaggio doveva essere recapitato a mano e consegnato personalmente a D'Annunzio da Margherita Incisa di Camerana, Tenente della Compagnia degli Arditi durante la prima guerra mondiale e madrina della Disperata, la guardia del poeta a Fiume. Proprio a Fiume Margherita incontrò Elia Rossi Passavanti, comandante della Compagnia (e partigiano dopo l'8 settembre 1943),  che sposò l'1 ottobre 1920 e fu il compagno della sua vita. 

Margherita Incisa di Camerana a Fiume, 1920

Nella lettera a Margherita si percepisce tanto la dedizione quanto il disappunto di Keller:
 

Margherita Rossi Passavanti d'Incisa la ringrazio, sempre gentile. Abbia premura di consegnare in proprie mani - scusi non mi riesce in altro modo. Non parli a nessuno tranne che a Lui. Faccio di tutto per rientrare nell'aviazione Militare e probabilmente andarmene in colonia, se il Nume non a [sic] più desiderio di vedermi. Baciandovi le mani. Guido Keller - Fiesole I - 13 - 22. 

Elia Rossi Passavanti passa in rassegna la Disperata

Guido Keller a Fiume, 1920
Keller, probabilmente deluso dalla renitenza alla lotta  di D'Annunzio, è deciso a rientrare nell'aviazione militare con l'intercessione di Elia Rossi Passavanti, se - scrive - "il Nume  non ha più desiderio di vedermi". In  una riga adorazione e dolore, qualcosa si è perduto e non tornerà "la barca dell'amore si è spezzata contro gli scogli della vita quotidiana" (Majakovskij). 

Fu mai consegnato questo messaggio a D'Annunzio? Credo di no, o non si troverebbe unito alla lettera accompagnatoria per Margherita. Elia e Margherita furono assidui frequentatori del Vittoriale dal luglio del 1922 - come del resto Keller, sorvegliatissimo dalla questura.
Un rapporto dei Carabinieri del 12 maggio 1927 documenta un suo soggiorno a Gardone Riviera e le continue visite al Vittoriale in compagnia dell'asso dell'aviazione Adriano Bacula e del podestà di Zara. Il rapporto allude anche a una manipolazione delle informazioni da parte della Polizia di Stato "per far sì che l'Arma non venga a conoscenza delle persone che si recano al Vittoriale": la storia era finita ma Keller ci provava ancora.




Dal museo archeoideologico: cimeli del fiumanesimo

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Distintivo della F.N.L.F. Federazione Nazionale dei Legionari Fiumani, 1921
All'occhiello della giacca porto solitamente questo distintivo e pochissimi sanno di che si tratti. C'è un serpente che si morde la coda, sette stelle in campo rosso e una sigla. Il serpente è l'euroboro, simbolo dell'infinito - o dell'eterno ritorno - le stelle sono le città del Carnaro che D'Annunzio voleva unite: la bandiera della Reggenza. "F.N.L.F."è la sigla della Federazione Nazionale dei Legionari Fiumani, l'associazione ideata e proposta da Gabriele d'Annunzio nel corso dell'ultimo rapporto tenuto a Fiume il 6 gennaio del 1921.Il programma del gruppo è in un discorso di Eugenio Coselschi tenuto a Milano il 22 giugno 1922, che rivendica la Carta del Carnaro di D'Annunzio e si proclama antifascista e libertario:

"Il Fiumanesimo è simbolo di rinnovamento e di resurrezione. La Costituzione del Carnaro, alla quale ci siamo giurati, vuole instaurare il Governo del Lavoro, il dominio dei produttori, di tutti i produttori, contro qualsiasi dittatura di parte...".

Eugenio Coselschi, Programma "immortale", 1922

Dopo la marcia su Roma, i legionari dell'FNLF e gli arditi dell'ANAI (Associazione Nazionale Arditi d'Italia) subiranno arresti e perquisizioni e nel gennaio 1924 le due organizzazioni verranno sciolte d'autorità dal regime in quanto gruppi armati antigovernativi.

C'è un altro distintivo che porto in alternativa sulla giacca, a seconda dell'umore. E' lo stesso simbolo, con la diferenza del colore del serpente, che è verde, e della sigla, che è "U.S.D."
Distintivo dell'U.S.D. Unione Spirituale Dannunziana, 1923

Accade che nel marzo 1923 su proposta di Eugenio Coselschi, condivisa da Dannunzio, venga fondata l'USD Unione Spirituale Dannunziana: sarà qui che confluiranno FNLF e ANAI dopo il loro scioglimento. Per poter sopravvivere avevano sostituito le armi della critica alla critica delle armi.
 
Scrive Amedeo Bordiga, all'epoca segretario del Partito Comunista d'Italia (l'ala scissionista e antiparlamentare, cosiddetta "massimalista", del partito comunista italiano):
Tessera di iscrizione all'Unione Spirituale Dannunziana, 1923
Disegno di Umberto Calosci
"La U.S.D. conta in Italia un centinaio di sezioni e circa duecento gruppi, con una organizzazione discretamente efficiente: ma essa non ha affatto stampa, neppure un settimanale o una rivista, che ne sia organo ufficiale. Il movimento dannunziano dovrebbe cominciare col precisare il suo programma di opposizione al fascismo attraverso chiare manifestazioni. Sebbene non si tratti di una vasta organizzazione, le sue tradizioni e il nome del suo capo darebbero a un tale atto un notevole peso politico.Movimento di intellettuali, di professionisti, di antichi combattenti, esso ci pare assommi quanto questi strati possono dare di non antiproletario, in una situazione in cui il proletariato sia sconfitto. È qualche cosa. In queste situazioni è molto difficile che gruppi delle classi medie non optino, tra le due dittature, per quella della borghesia... In ogni modo non potremmo non vedere con soddisfazione, integri restando tutti i punti teoretici e politici della nostra critica e del nostro chiaro dissenso, un movimento di agitazione di idee e di aperta discussione, che svolgesse su vasta scala questo tema: del disinganno di molti elementi intellettuali ed ex-combattenti sulla portata del fascismo, che oggi si svela come strumento della crassa materialità degli interessi parassitari più pesanti e più spietati, e mostra la miseria delle sue pretese restaurazioni di valori intellettuali, morali, spirituali". (Dalla rivista PROMETEO, nn. 1 e 2 del gennaio e febbraio 1924).

L'USD si scioglierà nel 1925, dopo il discorso del 3 gennaio che instaurerà la dittatura personale di Mussolini.


EROTICA FUTURISTA 32: Africa calore sudiciume lussuria

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Bot, Come mi vedo, disegno tratto da Autoritratto futurista, Piacenza, 1929
Il piacentino Osvaldo Barbieri detto Bot (Barbieri Osvaldo il Terribile) non si capiva se era un genio o uno schizzato.

Aveva fatto di tutto nella vita, ferito in guerra, operaio, scaricatore al porto di Genova, si sposa con la sua Enrica nel 1926 e decide che sarebbe campato d'arte e di niente altro.

Tra il 1928 e il 1934 sarà un attivista sfrenato al servizio della causa futurista, organizzando e partecipando a varie mostre ed eventi. Marinetti lo ama e lo odia, non gli piace un certo passatismo con cui Bot contamina le proprie invenzioni. Futuristi addio, nel 1934 avviene qualcosa che gli cambia la vita: parte per la Libia, è l'Africa.

Ora si chiama Naham Ben Abiladi e fa il pittore, l'incisore, fonda una rivista, partecipa a varie mostre, scrive poesie: il mal d'Africa prende anche lui come tanti altri artisti e poeti capitati là.
Quando torna definitivamente in Italia nel 1940 è un'altro uomo, e allo scoppio della seconda guerra si ritira in campagna a dipingere paesaggi tristi.
Morirà nel 1958 in fiera povertà.

Bot, Pennellate sull'Affrica, Tripoli, La Fionda, 1940
Nel periodo africano, poco prima di tornare in Italia, scrive fra le altre cosePennellate sull'Affrica (Tripoli, Edizione de "La Fionda", 1940), con la sua firma africanizzata in copertina e una scritta in chi sa che lingua di laggiù [ma il signor Roberto Rossi Testa, che ringrazio, mi informa che la scritta è in arabo e significa «Per/verso la vita»].
E' una raccolta di poesie, e fra queste troviamo il manifesto Affrica – Calore – Sudiciume – Lussuria, dove Bot dice tutto del suo amore:

Affrica ti amo.
Ti amo, perché sei terra del rischio, del sacrificio, dell'avventura.
Ti amo, perché ispiri, seduci, uccidi.
Affricani vi amo, perché siete neri, nudi, sudici; come la terra bruciante vi à creati, come natura selvaggia vi ha cresciuti...
Affricani vi invidio, perché non tenete il conto della vostra età, perché nei vostri villaggi non avete le inferriate, i catenacci, le casseforti.
Affricani, vi ammiro, perché combattete con l'arma coraggiosa: la lancia, perché lottate a corpo a corpo, nudi, col Re del deserto... 

(dalla poesia Manifesto. Affrica - Calore / Sudiciume - Lussuria, in Pennellate sull'Affrica, Tripoli, 1940; pag. 13).

L'Africa, l'Africa lo aveva preso, chi sa se nel bene o nel male, con amore, senza pietà.


Bot, Affrica - calore, sudiciume - lussuria, in Pennellate sull'Affrica, Tripoli, 1940


EROTICA FUTURISTA 33: Canzoniere futurista e "il grande Amore sintetico futuro"

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AA.VV., Canzoniere futurista amoroso guerriero, Savona, Brizio, 1943
15 gennaio 1943.
La guerra sta cambiando ed è la data in cui viene pubblicato il Canzoniere futurista amoroso guerriero, a cura di F.T. Marinetti, Farfa, Giovanni Acquaviva e Aldo Giuntini (Savona, Istituto Grafico Brizio).

Che la guerra stesse cambiando era nell'evidenza dei fatti in Africa e in Russia, nonostante il trionfalismo della propaganda. Questo libro fatto di canzoni, invenzioni grafiche, slogan e sogni è quasi un addio all'utopia futurista di ricostruire l'universo. E' una esplosione di creatività collettiva che coinvolge poesia musica pittura e arte grafica: un vero e proprio libro d'artista, testimonianza di quel che sarebbe stato possibile.

Enrico Prampolini,Creattività di Marinetti
La copertina è di Osvaldo Peruzzi, Enrico Prampolini è presente con un disegno a piena pagina «Creattività di Marinetti», Francesco Cangiullo con una tavola parolibera. Poi ci sono le tavole musicali di Aldo Giuntini, Primo Fonario e Ferrato disegnate da Acquaviva, Dall'Asta e Vercelli.

L'introduzione di Marinetti è una esaltazione della radio come mezzo ideale di comunicazione e conseguente abolizione del "bel canto" banale con aerocanzoni futuriste cariche di voluttà, velocità, stati d'animo, attualità - da cui il patriottismo e la guerra. Per questo vengono riprodotti i due manifesti di Marinetti sull'estetica futurista della guerra e il Manifesto dell'amore mediterraneo di Antonino Tullier, già pubblicato in AUTORI E SCRITTORI, Anno VI n. 9, 1941.
Seguono infine una serie di slogan, fra cui spicca:

CHI NON INVENTA MUORE

Le poesie e le canzoni, Marinetti a parte, sono dei giovani dell'ultima generazione. La grafica, curata da Giovanni Acquaviva (come dichiara Marinetti nell'introduzione) è di impostazione razionalista con una novità: brevi note compaiono spesso in piccoli riquadri al margine delle pagine.

AA.VV., Canzoniere futurista amoroso guerriero, Savona, Brizio, 1943. Tavola parolibera di Francesco Cangiullo

Dulcis in fundo c'è un foglietto di errata con una nota di Marinetti: "...ma cosa vuoi gli errori balzan su col piombo dalle stesse cassette dei compositori...".

AA.VV., Canzoniere futurista amoroso guerriero, Savona, Brizio, 1943. Giovanni Acquaviva, Canzone dell'aviatore

Il manifesto di Tullier sintetizza l'esperienza futurista: "il grande Amore sintetico futuro"è una sintesi di voluttà e fecondità, pudore ed esibizione, carezze e ostilità, un incontro e una collisione, evidenza e mistero, il piacere semplice e naturale capace di accogliere e contaminare - non di respingere - il male e il brutto.

 "Ridi ridi pur del Futurismo o passatista a zonzo sopra un istmo di mediocrità..." (Marinetti).


 

Agnus Dei. Corpo e sacrificio nella società dei consumi

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L'Arengario Studio Bibliografico
Agnus Dei. Corpo e sacrificio nella società dei consumi
Gussago, Edizioni dell'Arengario, 2015
Consulta il catalogo
In occasione della mostra «Libri antichi e rari a Milano», al Palazzo della Borsa in piazza Affari, 27-29 marzo 2015, pubblicheremo il catalogo: Agnus Dei. Corpo e sacrificio nella società dei consumi.

Quei favolosi anni Sessanta del boom economico, quando la felicità si comprava a rate. Per la prima volta nella storia la grande massa dei produttori poteva soddisfare bisogni non più legati alla necessità di sopravvivere. Nasceva la società dei consumi e con essa l’uomo medio, l’uomo della strada: a lui si rivolgevano la pubblicità e le ricerche sociologiche, per sondarne i più segreti desideri e crearne di nuovi. Un uomo senza cultura e senza memoria, protagonista di quella mutazione antropologica che per Pasolini costituiva un processo irreversibile. Una mutazione che si fondava prima di tutto sulla rimozione del corpo.

Se c’è una realtà di cui non puoi dubitare quella è il tuo corpo, lì dove si incidono il tempo e le vicissitudini della vita, in cui scorre insieme al sangue l’energia sessuale; i colori che cambiano, le malattie, il piacere delle carezze, lo splendore delle lacrime e dei sorrisi, degli abbracci, delle mani tese, dei pugni; il corpo, le cui secrezioni ed escrementi, la cui stessa decomposizione, hanno significato e valore. E così ci furono artisti che fecero del proprio corpo l’opera, la galleria, l’installazione, o furono essi stessi i protagonisti di azioni scandalose che mettevano a dura prova la pubblica opinione. Quegli artisti testimoniavano nella loro persona, sulla propria pelle, che il corpo non era e non sarebbe stato mai un oggetto d’uso ma l’unica vita da vivere, e che questo bisognava preservare per non distruggere noi stessi e il pianeta. Le loro prime esperienze qualche anno dopo, e senza far troppo caso alle differenze, furono chiamate «body art».

Hermann Nitsch, Das Orgien Mysterien Theater. Das 6.Tage-Spiel, 1998

Suscitavano scandalo le Aberrazioni di Hermann Nitsch: i visceri estratti a mani nude, le feci e il sangue degli animali scuoiati, mostravano la realtà della morte così com’era. Le persone inorridivano ma anche ne rimanevano irretite e coinvolte: erano indotte a discendere loro malgrado nel mondo oscuro, e a scoprire in se stessi e nelle proprie pulsioni l’origine di ogni piacere e di ogni sofferenza.

Ugo La Pietra, Uomouovosfera, 1969

Lasciavano interdetti certi ordigni e creazioni di Ugo La Pietra, che non trovavano posto nei supermercati come nelle gallerie d’arte: non rispondevano ad alcun bisogno o desiderio, non si potevano consumare. Erano strumenti che ti obbligavano a non restare passivo, ti disponevano a compiere una esperienza inedita, alternativa ai modelli imposti. E poi. E poi i ragazzi riempirono le strade di cortei e barricate, si misero a scrivere sui muri, alcuni uccisero e altri furono uccisi. Il 7 giugno 1968 all’università di Vienna gli azionisti realizzarono la performance «Kunst und Revolution», durante la quale misero in atto ogni possibile provocazione defecando, vomitando, masturbandosi e automutilandosi in pubblico. Alla fine nudi, sanguinanti e coperti di escrementi cantarono in piedi sulla bandiera l’inno nazionale austriaco. Günter Brus minacciato di morte dovrà scappare in Germania e nel 1970 il tribunale lo condannerà a sei mesi di prigione.

Günter Brus, Kunst und Revolution, 1969

Non fu più possibile un’arte disimpegnata, che non abolisse i confini con la vita: arte-vita proprio come volevano Marinetti e i futuristi, come vivevano e vivono Gilbert & George: nei loro abiti perfettamente inglesi un poco dimessi e lisi, così impeccabilmente eleganti nei gesti e nei modi, bevono, si dipingono, vanno a gabinetto si ritraggono come due stronzi, dicono che c’è qualcosa di sacro anche nella merda, l’arte è per tutti. Non è una provocazione, è semplicemente la loro vita.

Gilbert & George, Eight Shits, 1994

Ulrike Rosenbach
E se mai una forza accelerò questa evoluzione, negli anni Settanta, fu certamente la rivoluzione delle donne.Le donne ridicolizzarono le belle teorie politico-economiche, slogan e parole d’ordine, imponendo la realtà della loro condizione, cosa vuol dire essere inchiodati a un ruolo quando senti di poter abbracciare il mondo. Che il privato è politico, che il sesso, la maternità, la famiglia riproducono le strutture del potere. Compagni in sezione fascisti a letto, e se comincia la caccia alle streghe la strega sei tu. Cosa vuol dire mettere al mondo un figlio, cosa c’è nell’amore di così intimo alla natura, alla comunione dei viventi.
Nel corpo della donna è la difesa della natura di Beuys e la memoria delle nostre origini, la risposta alle domande intorno al nostro destino. Una risposta che irride ogni credulità: che tutto è irripetibile e destinato alla dissipazione. E che c’è una esperienza che nessun Dio può fare, solo un umano: vivere sapendo che un giorno morirà. Sì le streghe sono loro. E a pensarci ogni corpo è questo delicato equilibrio dell’essere per la finitudine e la morte.

Marina Abramovic e Ulay. Amsterdam, Stedelijk Museum, 30 novembre 1977

Hannah Wilke, immagine tratta da Intra-Venus, 1992
Quando le viene diagnosticato il cancro, Hannah Wilke decide di documentare le fasi della chemioterapia, dal dicembre 1991 all’agosto del 1992. «La mia preoccupazione è trasformare il negativo in arte», aveva detto. Nelle immagini di Intra-Venus si fissano momenti di serenità, preoccupazione, speranza, disperazione. Tutto quello che le persone non vogliono vedere, di cui non hanno il coraggio di parlare. Ma lei è sempre bellissima nella sua nudità. C’è un’immagine in cui sono visibili all’inguine le garze della dialisi, e Hanna si pone in capo per corona un piccolo vaso pieno di fiori freschi, le braccia atteggiate a sostenerlo, il seno rotondo e i larghi fianchi, come un’antica dea della fecondità. Perché lei aveva - e non era - il cancro.

Pensiamo a Cristo crocefisso e a Dioniso fatto a pezzi, alle catacombe e ad Eleusi: è il corpo il prezzo da pagare, è la sua perdita l’unica e vera tragedia - e che ne consegua in premio la beatitudine o il nulla non ha poi grande importanza. Cristo e Dioniso offrono il loro corpo in sacrificio: quello che hanno di più prezioso, la loro unicità e diversità come nell’antico canone della messa cristiana:

Prendete e mangiatene tutti
questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi.

Non c’è arte più autentica di questa, dove uno paga e sperimenta sulla propria pelle, non c’è arte più vera della vita della gente comune, oggi più che mai, e nonostante tutto, se c’è ancora bellezza nel mondo e una felicità possibile.

Anonym, 1976
Iimmagine della cartolina/invito alla mostra: Marina Abramovic e Ulay, Installation Two, 1979

TOCCARE LE IDEE SI E' TRASFERITO

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